«Si – può – fare!»: il ritorno di Tim Don, Frankenstein World Recordman

«Si – può – fare!»: il ritorno di Tim Don, Frankenstein World Recordman

23 Aprile, 2018

Il potere è nella nostra testa: tempra (e viti) d’acciao (e titanio) per Tim Don. L’esperimento con l’halo, “mostruosa” imbracatura che dopo un grave incidente gli ha immobilizzato per tre mesi testa e spalle, ha funzionato: Tim Don “riporta in vita” l’IRONMAN World Recordman che era in lui

Tim Don, inglese classe 1978, quarant’anni a gennaio, è sempre stato uno di quelli tosti e ha un palmares di tutto riguardo, avendo vinto un oro Mondiale Junior di Triathlon nel 1999 e quello Elite nel 2008, a cui si aggiungono un Mondiale di Duathlon nel 2002, uno nell’Aquathlon nel 2005, oltre alla partecipazione a tre edizioni dei Giochi olimpici e una lunga collezione di altre vittorie, prima di dedicarsi con altrettanto successo alle gare Ironman, centrando nel 2017 il record mondiale

Il record
Nel 2014 arriva terzo ai Mondiali del 70.3, battuto da Javier Gomez e Jan Frodeno; poi è settimo nel 2016 e ancora terzo a Chattanooga nel settembre del 2017. È l’anno buono, perché a Florianopolis, in Brasile, corre e vince in 7:40:23, il tempo più veloce di sempre sulla distanza Ironman, un ottimo viatico per coronare il suo grande sogno, quello di partecipare e vincere il titolo mondiale a Kona.

L’incidente
I primi di ottobre Tim è alle Hawaii, si allena ed è pronto per la grande impresa, ma il destino è dietro l’angolo. Mancano due giorni alla gara quando viene investito da un’auto mentre è in bici e il referto dei medici dice: «Commozione celebrale con frattura della seconda vertebra cervicale». Ed è così che i suoi sogni sembrano svanire.

Il ritorno
Ma la volontà di Tim è di ferro: sceglie la via del recupero più difficile, l’unica che può permettergli di tornare all’attività agonistica. Vive 12 settimane immobile con una sorta di imbracatura, l’halo, che gli bocca la scatola cranica e il busto: una vera tortura quotidiana, fonte di grandissime sofferenze. Un mese, poi due, ma Tim non molla: si sforza di esercitarsi per cercare di non perdere tonicità, iniziando a muoversi con l’imbracatura addosso. Poi, piano piano, torna ad allenarsi, e il 16 aprile “zuccadura Don”, a “soli” sei mesi dall’incidente, è alla partenza della Maratona di Boston, che chiude in 2.49.42, al 556esimo posto in classifica. Il cassetto dei sogni si riapre e ora l’obiettivo torna a essere quello di tagliare per primo il traguardo. Dove? Dove eravamo rimasti.

«Si – può – fare!».

Photo credit: Andrew Hinton / www.timdon.com.

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