Allenamento in salita: le 4 buone ragioni del collinare

Allenamento in salita: le 4 buone ragioni del collinare

25 Gennaio, 2022

L’allenamento in salita: uno dei lavori storicamente più importanti nell’ambito della preparazione per le corse di fondo e di mezzofondo. Utile anche per i triathleti dai punti di vista organico, muscolare, biomeccanico e psicologico

Seppur importante, l’allenamento in salita rimane un mezzo di lavoro difficile da teorizzare. Molti triatleti lo vedono in sostanza come “un allenamento dove si va su e giù”, rallentando la velocità della corsa in salita e accelerando quella in discesa. Un concetto piuttosto elementare del collinare, che cosi interpretato avrebbe né più né meno la valenza di un fartlek.

L’allenamento in salita: una questione di equilibrio

In realtà, le valenze di un collinare interpretato in maniera moderna sono almeno quattro.

La prima di carattere organico, perché, qualsiasi tipo di allenamento si voglia effettuare in collina, è evidente che, a parità di velocità di esecuzione, sia sempre più impegnativo di una seduta di corsa sul piano.

La seconda è certamente di carattere muscolare, perché polpacci, glutei e quadricipiti sono molto più impegnati per soddisfare la richiesta energetica che arriva dai tratti in salita, che comportano anche tempi di contatto al suolo molto più lunghi, ma anche da quelli in discesa, che devono essere correttamente interpretati e gestiti visto che in essi lo sforzo eccentrico viene parecchio accentuato. Così si migliorano le resistenze muscolari locali, facendo anche un ottimo esercizio per aumentare la forza dinamica.

La terza valenza è invece di carattere biomeccanico. Perché il collinare è molto utile per imparare a gestire al meglio l’uso dell’ampiezza e della frequenza del passo, nelle dinamiche e le variazioni che intervengono a seconda che si corra in salita, in discesa o sul piano. Una sensibilità che molti atleti non hanno.

La quarta e ultima valenza è di tipo psicologico: saper gestire la velocità e la propria meccanica di corsa in base al tipo di percorso da affrontare e la relativa maggiore fatica fisiologica vuol dire aver raggiunto un equilibrio tecnico, muscolare e psicologico organico da atleta di medio-alto livello.

Moderna esecuzione del collinare

La gestione del “collinare” ha avuto da parecchi anni un’interpretazione più moderna e tecnica. Bandita del tutto l’interpretazione fai-da-te di antica memoria, il nuovo concetto-base di esecuzione parte da un criterio di equilibrio nella gestione del ritmo di corsa. Vale a dire da un aumento della velocità nei tratti in salita e un controllo di quelli in discesa. In modo che entrambi siano praticamente uguali e non solo “più lenti o rapidi della velocità al chilometro espressa anche nei tratti in piano”, come nell’antica percezione di questo lavoro.

Per realizzare al meglio questa esecuzione del collinare, l’ideale è trovare dei circuiti che presentino tre differenti tratti: salita, discesa e piano. L’ideale sarebbe avere sempre un tratto di piano dopo ogni frazione in salita e in discesa, così da sollecitare sistematicamente gli atleti a variare di continuo ampiezza e frequenza del passo. A titolo di esempio cito di questo tipo di percorso cito la milanese “montagnetta di San Siro” con i suoi svariati cambi di pendenza.

Esempi nella storia

Tra gli allenamenti storici di percorsi collinari o pseudo collinari, occorre ricordarne almeno due relativi agli anni ’50 e ’60. Il fondo lento alla domenica a Rotorua, fuori Auckland (NZL), della durata anche di 2:30’, effettuato dal neozelandese Peter Snell, tre ori olimpici, tra 800 e 1.500 m ai Giochi di Roma 1960 e Tokyo 1964. Poi le ripetute di un miglio sulle dune di sabbia di Port Sea (AUS) del grande Herbert Elliot, campione olimpico a Roma sui 1.500 m nel 1960, con tanto di primato mondiale. In chiave italiana, uno degli allenamenti cardine della preparazione invernale di atleti come Alberto Cova e Francesco Panetta erano i 20 km corsi intorno ai 3’20”/km sui circuiti del Montestella di Milano, la “montagnetta di San Siro”, appunto.

Distanze e opzioni

Scritto del passato e del presente, vediamo ora quanto può essere lungo un allenamento in salita e che tipi di lavoro si possono fare. Ne abbiamo almeno quattro.

Riprendendo gli esempi appena fatti; si può parlare del “lungo endurance”, vedi Peter Snell, cioè di una seduta che può andare da 60’ fino a 120’, gestita in assoluta decontrazione. Un allenamento dove si può anche curare con maggiore attenzione la velocità di corsa, mantenendola uniforme, e la meccanica di corsa. In questo caso si può arrivare anche a completare 30 km.

La seconda opzione è il classico “fondo medio”, cioè un’andatura più veloce di 20-25” rispetto a quella del lungo endurance. Come distanza si può stare tra i 10 e i 20km, come negli esempi dei lavori di Cova e Panetta.

La terza opzione, che però presume una grande esperienza da parte dell’atleta, riguarda il “progressivo”. In questo tipo di allenamento vengono infatti toccate tutte e tre le velocità della corsa lunga uniforme. Dal lento iniziale, per poi passare al fondo medio nella parte centrale e finendo con il fondo veloce nell’ultimo tratto. Per questo tipo di allenamento vanno bene distanze comprese tra i 12 e i 15 km.

L’ultima opzione riguarda le “prove frazionate” in circuito: devono essere distanze comprese tra gli 800 e i 2.000 m al massimo. Fondamentale la scelta del circuito che deve essere il più scorrevole possibile, con un tratto in salita in falsopiano e una discesa non troppo ripida, così da poter tenere una velocità di corsa più elevata rispetto anche al fondo veloce. Esempi di questo tipo di allenamento molto impegnativo sono 8×800 m o 8×1.000 m, recupero 90” di jogging. Oppure 6 x 1.500 m fino ad arrivare, con lo stesso recupero di 2’ di jogging, ad affrontare 5 prove ripetute sui 2.000 m.