Se Platone facesse Triathlon

Se Platone facesse Triathlon

18 Aprile, 2023

L’editoriale di Daniel Fontana in apertura del numero di aprile di Triathlete

(foto 123rf)

Possiamo scegliere di appartenere a due categorie. O optiamo per un modello muscolare, quasi più simile all’animale che all’uomo e scegliamo la fatica e i muscoli in vista o aborriamo questa scelta e ci orientiamo verso un modello intellettuale, in grado di sostenere il peso morale dei grandi perché cosmici, ma incapace di sollevare un sacchetto di spesa troppo pieno.

Dobbiamo scegliere da che parte stare perché il mondo in cui viviamo tende a polarizzare i concetti. Fare sport ci rende “invincibili”, ma ci atrofizza il cervello e dedicarsi a coltivare la propria profondità intellettiva ci porta a essere persone di spessore ma gobbi e cagionevoli di salute.
L’ennesima conferma che gli ultimi 2.500 anni di storia non ci abbiano insegnato nulla. Se facessimo un salto indietro all’antica Grecia, a Platone, nel secolo IV a.C., scopriremmo che il padre della filosofia insegnava l’arte del pensiero ai suoi allievi in una palestra, fuori Atene, il Gimnasium. Insegnava la filosofia, l’educazione dell’anima e l’amore per la riflessione, facendo ginnastica ed esercitando le arti del combattimento. Lui non concepiva un modello dissociativo tra il corpo e l’anima, anzi, sosteneva che l’esperienza fisica dell’azione e della fatica permettesse di intuire in modo più immediato alcune profonde verità dell’essere.

Professava che il nostro cervello fa parte di un sistema complesso, profondamente connesso con l’esperienza somatica e che la sua efficienza piena dipendesse strettamente dal livello di salute dell’apparato locomotorio e dalla capacità di questo di performare e stare nella fatica.
1.500 anni dopo Platone, passando per la latinità del “mens sana in corpore sano” di Giovenale, Leonardo si è reso conto che stavamo puntando nuovamente fuori rotta e ha provato a riportarci con l’Uomo Vitruviano a questo concetto.

Sicuramente sono di parte, ma sono sicuro che se Platone vivesse oggi, sarebbe un triatleta. Questo nostro sport, così vocatamente solitario, che ci fa attraversare momenti di grande fatica e ci obbliga a un dialogo continuo con noi stessi, ci pone nei momenti più difficili di fronte a domande esistenziali.
È vero che il triathlon vive di un gesto muscolare, ripetitivo e noioso, in un contesto a volte brutale, ma non può prescindere da autocontrollo, metodo e disciplina e soprattutto dalla capacità di dominare la nostra mente e portarla a vivere nel presente, nel reale.

Correre, nuotare e pedalare, come due millenni fa si faceva la ginnastica, ci fa stare insieme, ci dà chiarezza nelle idee. Ci tuffa in un caos cinetico nel quale paradossalmente troviamo lucidità immediata e la serenità di stare in equilibrio con il mondo.
Non so se mi sono spiegato, forse è un pensiero confuso e qualcuno dirà “intriso di luoghi comuni” e poche risposte. Ma alla fine, non potete chiedermi troppo, sono solo un triatleta. Aloha

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