L’Estremo si chiama Iran

L’Estremo si chiama Iran

12 Luglio, 2016

Iranian Silk Road Ultramarathon, race director Paolo Barghini

Paolo Barghini è il race director ma anche e soprattutto l’inventore di questa belle gara, estrema più che mai, che alla sua 1ª edizione ha visto un grande successo, quello di aver abbattuto un muro gigante di pregiudizio: per la prima volta in uno stato islamico, infatti, uomini e donne hanno potuto correre insieme, nella stessa gara. E per quei luoghi non è certo cosa da poco. Non solo successo di numeri, dunque (35 partecipanti per una prima volta non sono male), ma anche e soprattutto di conquista sociale. Alla fine degli anni ’70 la rivoluzione iraniana ha deposto lo scià di Persia, Rehza Palhavi, imponendo una repubblica islamica con a capo l’ayatollah Khomeini e la cui costituzione si è ispirata alla legge coranica, la Sharia. Bene, tante sono state le trattative e discussioni che Paolo ha dovuto sostenere con le autorità locali, negoziando, alla fine, che ok, le donne erano ammesse, a patto però che gareggiassero con i pinocchietto e le mezze maniche, le europee, pantaloni e maniche lunghe, le iraniane. Per tutte: capo coperto, che tanto nel deserto è già di per sé inevitabile. Soprattutto nel deserto più caldo del pianeta Terra, il Dash-e Lut, nell’altipiano del Gandom Beryan, sud-est dell’Iran, dove in estate si registrano temperature che vanno oltre i 70°C. «Ho insistito molto perché le donne potessero essere presenti. In accordo con le istituzioni si voleva dare un po’ di notorietà a queste terre che altrimenti non ne avrebbero, ma non permettere alle donne di partecipare alla mia gara ne avrebbe decretato il fallimento certo. Non ci sarebbe venuto nessuno degli europei. Io in una discoteca senza donne non ci vado», è la battuta scherzosa ma molto vera di Paolo. E per la logistica? «Tutti insieme nei campi tendati».

Partecipanti illustri

Tante le belle “storie corse” all’interno dell’Iranian Silk Road Ultramarathon, nelle suggestive terre dove in passato sono transitate le carovane della Via della Seta (da qui il nome della gara). Una riguarda Stephanie Case, di stanza a Gaza dove svolge la professione di avvocato dei diritti umani. Ultrarunner per passione, Tor des Geants, gare di Racing The Planet’s e altro ancora nel suo palmarès. Questa donna coraggiosa è presidente e fondatore di Liberi di correre, un’organizzazione no profit che utilizza la corsa, non solo quella estrema ma anche il fitness e l’avventura all’aria aperta, come strumento di forza per le donne nelle zone colpite dai conflitti (www.freetorun.org). Non poteva essere in un posto più emblematico. Come anche Masha Torabi, iraniana che ha corso con la maglia Free to run. Un bel messaggio. Altro ancora: l’indissolubile duo Tullio Frau-Raffaele Brattoli, non vedente il primo, sua fidata guida il secondo. Attaccati con un laccetto ai polsi, hanno affrontato i tanti chilometri sotto il sole cocente e ai punti di ristoro, quando l’arsura si fa sentire più forte e la necessità di bere diventa impellente, Raffaele porge per prima cosa l’acqua al suo compagno d’avventura e solo dopo soddisfa la sua sete. Gesto di grande altruismo.

Dati tecnici

Ma parliamo un po’ anche di dati tecnici: 250 o 150 i km da percorrere in autosufficienza per sei tappe su terreno sabbioso/sassoso/lavico comprendente anche affascinanti distese di sale. Chiedo a Paolo: «Come ti è venuto in mente di organizzare la 1ª e per ora unica maratona internazionale in Iran?». «Tutta colpa/merito del mio amico Massimo Taddei, che ha un’agenzia di viaggi e col quale abbiamo fondato la Extreme Races Organization, organizzazione di corse estreme in tutto il mondo. Appuntamento in India per il prossimo anno, obiettivo: Thar desert, Rajasthan». (Per maggiori info: www.extremeracesorganization.it)

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