L’altra gara: Paola Gianotti

L’altra gara: Paola Gianotti

19 Marzo, 2015

La Forrest Gump della bici

“Keep brave” è il suo motto, e lei coraggiosa e guerriera lo è davvero.
Nel perseguire il suo sogno di bimba, quando in giro per il mondo in camper con la sorella ammirava i viaggiatori ciclisti che casualmente incrociavano. “Anch’io da grande lo farò”, e così è stato: passando per viaggi con zaino in spalla in angoli di terra lontani e affascinanti (Swaziland, Himalaya, Galapagos, per dirne solo alcuni, nda) alla pratica di svariati sport a tutto tondo (da sci alpino a thai box, a triathlon), ecco che approda al sogno: il giro del mondo in bici. «Così ho unito le mie due più grandi passioni: sport e viaggi». Solo un’altra donna, prima di lei, la greca Juliana Bhuring nel 2012, è riuscita nell’impresa. Ma è Paola a stabilire il record mondiale: 144 giorni per 29.430 km. «È stata l’esperienza più grande della mia vita, la scelta migliore che potessi fare». Quando la passione e il sogno diventano realtà. Faccia sorridente, lineamenti e fisico tirati per i tanti km macinati, Paola è una donna essenziale, senza fronzoli.

Come è nata l’idea di questa impresa?
Causa la crisi economica, ho chiuso la mia azienda di comunicazione e ho pensato: “O adesso o mai più”. L’impresa è costosa, così ho contattato 2.500 aziende, 400 hanno risposto con un gentile “in bocca al lupo”, una decina, invece, hanno collaborato.

Come ci si allena a una performance del genere?
La preparazione deve essere fisica e mentale; intanto, negli ultimi anni ho fatto viaggi sportivi, scalando il Kilomangiaro, l’Aconcagua e navigando lungo la costa della Groenlandia in kayak, poi, nell’ultimo anno e mezzo, ho fatto dalle 4 alle 5 ore al giorno di bici e nuoto. La parte mentale è stata la più importante e sono stata seguita dalla dottoressa Monticelli. Ho lavorato sulla motivazione e sull’importanza di avere chiaro l’obiettivo della mia impresa.

Cosa hai temuto di più?
Il clima è la variabile meno controllabile. Abbiamo scelto la stagione intermedia per evitare il caldo e il freddo estremi. Ma il vento può distruggere e io ho dovuto attraversare deserti e salire montagne; dunque, variabilità à gogo.

Sensazioni? La più bella e la più brutta.
La prima: pedalare di notte nel deserto sotto le stelle al chiaro di luna; come anche vedere i bimbi in Asia che mi allungavano la mano per darmi in cinque. La seconda: accettare l’incidente avuto in Arizona, dove un’auto mi ha investita rompendomi la 5ª vertebra cervicale; ripartire tempo dopo esattamente dal punto dell’incidente è stato difficile ma, allo stesso tempo, emozionante perché stavo riprendendo il mio sogno.

Pedalando tante ore al giorno si sta molto con se stessi, che rapporto hai con la solitudine?
Sicuramente questo è stato anche un grande viaggio interiore. Pedalando oltre 13 ore al giorno da sola, ho imparato a vivere con me stessa, con le mie paure e con le mie emozioni. Ho avuto tantissimo tempo per pensare e per godere di quello che stavo facendo.

Dopo un viaggio così hai avuto cambiamenti fisici e/o mentali?
Quelli fisici sono stati tanti: ho perso peso, aumentato la potenza della pedalata e diminuito il ritmo cardiaco. Mentalmente: ho imparato che nulla è impossibile, che se si crede davvero in un sogno lo si può raggiungere e che i limiti sono solo quelli nella nostra testa.

Si riesce a riprendere la vita di sempre?
Sono passata dal pedalare 13 ore al giorno, affrontando mille contrattempi, all’essere catapultata in un mondo per me nuovo di interviste TV, radio e convegni per raccontare la mia avventura, ma non ho sentito il distacco e il vuoto di un’impresa finita perché vive con me, ogni giorno, da quando sono tornata.

Rapporto coi social media?
Li ho utilizzati tantissimo, perché la condivisione è una delle parti più belle del viaggio. Ho avuto molto seguito e li ho sempre aggiornati il più possibile; la carica maggiore nei miei momenti di crisi è arrivata proprio da Facebook. Le innumerevoli persone che mi hanno seguito, e che non smetterò mai di ringraziare, mi hanno dato carica ed energia quando ero in crisi e hanno gioito con me nei momenti più belli. Dopo l’incidente, il supporto incredibile ha contribuito a darmi la forza di ripartire. Tutti hanno vissuto questo grande sogno insieme a me.

Importante e delicata la scelta dei materiali.
Sì, certo. Ho utilizzato una bici Cinelli Bootleg Hobo in acciaio, con forcella in carbonio, di 8,5 kg, prediligendo il comfort e la robustezza alla leggerezza, con copertoni Michelin endurance pro 4 Race da 25, perché più confortevoli e, allo stesso tempo, molto scorrevoli, coi quali ho forato solo 22 volte in 29,430 km.

Parametri richiesti per rientrare nei Guinness dei primati?
Almeno 29.000 km in bici, toccare i due antipodi, seguire sempre un’unica direzione (o verso ovest o verso est), utilizzare un solo telaio, partire e arrivare dalla stessa città.

Prossimo obiettivo?
Mi piacerebbe tentare altri record, combinando nuovamente il viaggio e la sfida sportiva. Ho in mente diversi progetti per il 2015, ma sono da imbastire. Per il momento mi godo l’esperienza vissuta continuando ad allenarmi e a sognare.

Forse rifarà il giro del mondo, ma in senso inverso. Per battere se stessa. E sul web ancora va il video del suo arrivo a Ivrea, all’imbrunire di un pomeriggio piovoso, con ancora negli occhi le immagini del mondo, che lì resteranno per sempre.

(Tratto da Triathlete n. 216 – Marzo 2015)

 

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