Aiutare gli altri

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21 Aprile, 2015

COSÌ È ANTONELLA, PER GLI AMICI REGINELLA, SÌ, REGINA DI SOLIDARIETÀ

Ciao Triathlete, sono Reginella, “diversamente” triatleta, nel senso che sono una di quelle che fa classifica… senza di me le prime sarebbero sole. 

Vi racconto il mio Rimini Challenge: il sabato c’è lo sprint, il giorno prima della gara è importante, quindi, venerdì sera piadine e birra! La mattina si va in zona cambio per lasciare la bici, dalla quale ho tolto tutto ciò che fa peso; io sono la peggiore, all’ultimo mi rendo conto che c’è ancora la catena sotto la sella, vabbè. In spiaggia siamo tante, le donne partono sempre per prime. È bella la preparazione, mentre indosso la muta parlo con le altre: sono tutte acciaccate, tutte senza allenamento, tutte alla prima o seconda gara… bugiarde, o forse scaramantiche, ma la gara è ormai lì, nell’attimo in cui danno lo start, in quel pizzico di adrenalina che sale su per il collo. Qualcuna è veramente alla sua prima gara, e quelle sono le mie preferite: mi piace darle sicurezza, le invito a mettersi in scia con me in acqua. Un minuto di silenzio… tutte concentrate, occhialini, cuffia, la cordicella della muta… dov’è? Ah, è nel collo, e mentre penso… pèèè! Viaaaaaa! Magnifico, una tonnara di donne!
La frazione di bici molto comoda, come anche quella di corsa, il tutto sotto un sole splendido.
Dopo la gara, mentre beviamo la meritata birretta, il responsabile dei paratriatleti (Neil MacLeod, nda) ci chiede aiuto per mettere gli atleti disabili in acqua. Che emozione. Ecco, questa è una gara davvero dura per chi non ha una gamba, un braccio o forse, peggio, è cieco. Che donne e che uomini, fortissimi (alcuni di loro andranno alle Paraolimpiadi), aiutarli è un privilegio. A me tocca portare le stampelle in acqua a Gianni Sasso e dopo andare in zona cambio a togliere la muta ad Antonello.
Sono in acqua, lo vedo arrivare, non sembra che non abbia una gamba, è veloce. Aspetto il momento giusto per aiutarlo e quando prende le stampelle e si alza dall’acqua, dannazione ora vedo la fatica, lo sforzo, l’acqua che prima lo aiutava a scivolare ora gli fa peso per uscire… Dai Gianni! Le stampelle affondano nella sabbia e l’unico piede fa di tutto per mantenere l’equilibrio; lo guardo, sono vicina a lui pronta a prenderlo se cade… ma lui è un guerriero e va! Resto a guardare la fine della gara, non mi voglio perdere la gioia di vederli finisher.

SMArathon

Bene, il giorno dopo ho un’altra gara: sono in staffetta, a me toccano i 90 km di bici. Parto completamente inconsapevole, mi do maledettamente sui primi 45 km, tutti controvento, e vivo l’illusione di andare bene ma, a metà percorso, bam! Il muro. Dai Anto, sei a metà strada e da ora in poi è tutta discesa… E invece non è così. Al 72° mi vogliono caricare la bici per l’ultimo strappo, ma no, non voglio, devo farcela. La staffetta è per la Onlus che sostengo, ce la devo fare. Ogni piccolo dislivello è una tortura, comincio a piangere e a ridere allo stesso tempo, soffro ma sono felice. Finalmente entro in città, e quelli che stanno facendo la frazione di corsa mi incitano per incoraggiarmi. La fatica e le lacrime sono sconfitte dal mio sorriso, arrivo in zona cambio, poso la bici, il casco e passo il chip alla mia amica. Le dico che mi dispiace, ci ho messo una vita.
Lei mi guarda e mi dice: «La portiamo a termine, abbiamo già vinto solo per il fatto di farla per SMArathon». La aspetto all’arrivo e tagliamo il traguardo tutti insieme, con i suoi bambini. Non so se riesco a passarvi le mie emozioni… lo spero. Il Challenge mi è rimasto nel cuore e… nelle gambe. Fare le gare è bello, io le vivo come un gioco, una sfida con me stessa e un gesto di solidarietà per chi è meno fortunato di me.

Reginella (Aurora Triathlon)

 

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